Per le quarte e quinte: spiegazioni brevi e un commento in vista del Jobs Act

Da un articolo apparso sulla rivista “Tracce” , novembre 2014; leggibile per intero alla pagina  internet 

Il lavoro secondo Matteo       Stefano Filippi      ITALIA – JOBS ACT

http://www.tracce.it/default.asp?id=266&id2=351&id_n=44734&ricerca=Mezzanzanica

A fondo pagina: Box aggiuntivo con brevi spiegazioni sulle nuove norme e sui termini più usati nel dibattito attuale

Intervista a MARIO MEZZANZANICA, direttore scientifico del Crisp, Centro di ricerca interuniversitario che studia i servizi di pubblica utilità: lavoro e formazione, sanità, welfare. (http://www.crisp-org.it/ )

Giovani precari, cinquantenni disoccupati, articolo 18… Il Governo tenta una nuova riforma, a pochi anni da quella Fornero. Funzionerà??Abbiamo chiesto a MARIO MEZZANZANICA, uno dei maggiori esperti italiani del settore, di analizzarla. Ecco le sue risposte. Tra luci, ombre e un’avvertenza: «Se non stiamo attenti, rischiamo di mettere pezze a un sistema finito…»

«Il Jobs Act è un primo passo positivo per affrontare il «nuovo lavoro»: il professor Mario Mezzanzanica ne è certo. «Muoversi, intercettare il cambiamento è già una forma di coraggio importante nel nostro Paese che è sempre stato irrigidito nella difesa di alcuni comparti ben definiti». Ma la delega incassata dal Governo Renzi va inquadrata in un contesto più ampio: «Se non capiamo che una persona nel momento del cambiamento ha bisogno di aiuto, rischiamo di mettere una serie di pezze a un sistema finito».
Mario Mezzanzanica è professore associato di Sistemi informativi all’Università di Milano-Bicocca e direttore scientifico del Crisp, Centro di ricerca interuniversitario che studia i servizi di pubblica utilità: lavoro e formazione, sanità, welfare.  ………. 

 «Nel monitoraggio del web abbiamo individuato 480mila proposte di impiego che nessuno analizza per capire come sta andando la richiesta delle imprese e quali professioni e competenze sono richieste».

Professore, che cosa caratterizza oggi il lavoro in Italia?
Nei nostri studi osserviamo che è sempre più elevata la dinamicità, l’esperienza del cambiamento nella vita professionale. Fino a qualche decennio fa l’esperienza lavorativa di una persona si svolgeva tutta in un’azienda o in un settore, e la sicurezza della carriera era assicurata dalla stabilità dell’azienda. Oggi ciò non esiste più: le aziende si trasformano velocemente, il mercato è sempre più globale, la tecnologia accorcia la vita dei prodotti.

Questo che impatto ha sul lavoro e la professionalità di una persona?
Una delle cose che più mi hanno colpito nei miei studi è stato analizzare le dinamiche delle carriere. In media il 35% della popolazione lavorativa cambia contratto o azienda in un anno. Non è un fatto di per sé negativo; magari un contratto a tempo determinato diventa indeterminato. È un fenomeno legato anche alle lavorazioni e ai settori economici: incide più nei servizi (nel turismo arriva al 45-50% a causa della stagionalità), mentre nell’industria si ferma al 23-25%. Si osserva, comunque, che l’esperienza del lavoro vive sempre più dell’esperienza del cambiamento. Tra il 2004 e il 2009 in Lombardia sono stati attivati oltre due milioni di contratti a tempo indeterminato: il 50% si sono chiusi entro cinque anni con una durata media di sedici mesi. Impensabile fino a pochi decenni fa.

È un indicatore di precarietà?
No, di mobilità. Molti lavoratori passano da un tempo indeterminato a un altro indeterminato. Soprattutto nella popolazione più giovane la mobilità è molto elevata nei primi anni della carriera per poi ridursi. Una volta un contratto durava 35 anni, oggi al massimo 10. Il mercato del lavoro è radicalmente cambiato.

Che cosa garantisce la sicurezza del posto che un tempo era legata alla solidità aziendale?
La competenza del lavoratore. L’investimento nella crescita e nella cura della professionalità è ciò che assicura maggiore continuità nell’esperienza lavorativa.

E come mai molte persone qualificate, come i giovani dotati di laurea e master, faticano tanto a trovare un lavoro?
Per prima cosa, le aziende hanno poche opportunità da offrire. Secondo, le opportunità hanno prospettive molto più brevi e questo impone di assumere persone già preparate. Terzo, nel nostro Paese il mercato del lavoro è regolato da un sistema normativo e organizzativo molto rigido. Oggi il 50% delle posizioni lavorative sono in imprese sotto i dieci dipendenti, meno capaci di prendere a bordo giovani laureati perché non riescono a dare prospettive. Le piccole imprese sono l’ossatura economica dell’Italia, hanno assorbito molte fuoriuscite dalle grandi, ma non è stato fatto nulla per aiutarle a crescere.

C’è un’altra categoria di lavoratori svantaggiata: i cinquantenni.
Qui i problemi maggiori sono i costi per le aziende e la difficoltà a rientrare una volta persa un’opportunità. È il dato più grave evidenziato dalla crisi.
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Che cosa può aiutare di più una persona davanti a questa esperienza del cambiamento?
Innanzitutto, che uno non sia lasciato solo ma possa avere una rete sociale in cui essere aiutato: la famiglia (l’ammortizzatore maggiore in questi anni) o una comunità di amici; e poi, nell’ottica di un sistema-Paese, maggiori servizi. Trasparenza di domanda e offerta di lavoro per capire quali sono le nuove professioni, quale gap dev’essere colmato dalla formazione, come essere aiutati a vivere l’esperienza del cambiamento anche con supporti a livello economico.

Intende quei sussidi che il Jobs Act vuole ridimensionare?
Se mi devo formare per cambiare professionalità, devo pure sfamare la mia famiglia. Occorre pensare a una struttura di politiche capace di rispondere al bisogno della persona. L’Italia è il sistema europeo che ha investito meno sui servizi per il lavoro. I servizi pubblici offrono una gestione amministrativa mentre il contributo di agenzie per l’impiego o società interinali è staccato dalle politiche pubbliche. L’esempio più eclatante è Garanzia giovani.

Una delle grandi novità della Riforma Renzi.
Un miliardo e mezzo di euro stanziati dall’Unione Europea: significa che le risorse economiche non mancano. Tuttavia soltanto 290mila giovani si sono accreditati al portale, appena 50mila sono stati presi in consegna in Italia, il Sud è praticamente assente, l’approccio al portale dei servizi è latitante, le agenzie per il lavoro private non sono state coinvolte, le organizzazioni non profit che erogano servizi non sono state considerate. Eppure i giovani hanno voglia di implicarsi con le loro professionalità: se molti ragazzi vanno all’estero non è una perdita di cervelli, ma l’iniziativa positiva di tanti che hanno ancora voglia di spendersi nella realtà.

Come giudica la riduzione delle forme contrattuali prevista dal Jobs Act?
Il contratto a garanzie crescenti è certamente positivo, risponde a un fatto della realtà perché le aziende hanno il respiro corto in termini di commesse e produzione. Se però non capiamo che nel momento del cambiamento c’è bisogno di un aiuto, e che dietro c’è un fatto culturale, rischiamo di mettere pezze che lasciano il tempo che trovano. Nessuno ne parla: nella delega del Governo s’istituisce l’Agenzia nazionale dei servizi per il lavoro cogliendo correttamente l’importanza dei servizi, ma si vuole farlo senza costi pubblici. Aiuti e riforme vanno assieme. Altro esempio: la riduzione dei contributi per le nuove assunzioni proposta nella legge di stabilità di per sé potrebbe non creare grandi opportunità senza una riforma dei contratti (che semplificano la vita delle aziende) e senza liberare risorse.
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Che cosa può smuovere il mercato del lavoro?
Ma nel mercato c’è una dinamicità fortissima! È vero che il 60% sono proposte a tempo determinato, però è impressionante questa vivacità che deve essere resa trasparente aiutando la persona a mettersi in gioco nella sua responsabilità. Dario Di Vico sul Corriere ha raccontato questo paradosso: nei centri pubblici per l’impiego di Garanzia giovani si assumono persone con contratto a progetto per aiutare persone a lavorare a tempo indeterminato. Siamo un Paese che fa queste cose.

Che ne pensa dell’articolo 18?
Le cause di reintegro dovute all’articolo 18 oggi in Italia rasentano lo zero. Per licenziare si usano altre forme. Le multinazionali, almeno a certi livelli, ti chiamano, ti danno 24 mensilità e ti lasciano a casa. È una discussione più ideologica che sostanziale, è la difesa di una bandiera a oltranza. Personalmente non ho problemi né a tenerlo né a lasciarlo; il problema è accorgersi della realtà: il mercato del lavoro è cambiato e costringere ad assumere una persona per la vita è ridicolo.

Non c’è alternativa a questa mobilità?
I miei studenti che fanno dei colloqui con aziende in Italia si trovano a discutere innanzitutto sulla stabilità del contratto e la remunerazione, che sono i criteri di scelta. All’estero, dove non esiste il concetto di stabilità del contratto, quegli stessi ragazzi (e sono tantissimi) cercano un posto in cui essere valorizzati per capacità e competenza. È un fatto culturale, cambiano atteggiamento. O usciamo dalla cultura del lavoro come posto che mi deve essere garantito e si mette in gioco la responsabilità della persona, chiedendo anche al sistema di essere responsabile nel gestire le politiche e i servizi, oppure rimarremo sempre al palo dell’aumento della disoccupazione. 

La riforma in pillole  Box aggiuntivo con brevi spiegazioni sulle nuove norme e sui termini più usati nel dibattito attuale

http://www.tracce.it/default.asp?id=266&id2=351&id_n=44878  

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI
Attende i neoassunti a tempo indeterminato. In base all’anzianità cresceranno le forme di tutela e di incentivi (per esempio, taglio di tassazione o limitazione dei contributi).

CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
La durata passa da 1 a 3 anni e permette un massimo di 5 proroghe. Non serve mettere una motivazione per stipularlo. Al massimo per un datore di lavoro questi contratti possono essere il 20% di quelli a tempo indeterminato. L’obbligo è dal 2015 e non vale fino a 5 dipendenti.

CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ
Verrebbero ampliati con l’obiettivo di aumentare l’occupazione. Diventano solidali anche le ferie: chi ne ha in più le potrebbe cedere a colleghi che ne hanno bisogno nel caso, per esempio, dell’assistenza ai figli.

ARTICOLO 18
Resterebbe il reintegro solo per i licenziamenti per motivi discriminatori, sarebbe sostituito da indennizzi negli altri casi giudicati illegittimi cosa peraltro già presente nella riforma Fornero del 2012. Nulla c’è a riguardo nel maxiemendamento.

CASSA INTEGRAZIONE
Resta solo per le riduzioni di orario di lavoro, non quando l’attività chiude. Dovrebbero essere riviste anche le durate (attualmente due anni per la cassa ordinaria e quattro per la straordinaria).

ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE
Sarà collegato alla storia del lavoratore, dunque ai contributi versati. Dovrebbe essere ampliato, all’inizio in via sperimentale, anche a chi ha un contratto di collaborazione.

Per le quarte e quinte: spiegazioni brevi e un commento in vista del Jobs Actultima modifica: 2014-12-20T17:27:59+01:00da maurozuccari
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